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La guida e il Pubblico Ministero  -  con Capleymar

Pubblicato il 28/02/2021 03:10  - nessun commento -

Pubblicato il 27/02/2021 19:49  - nessun commento -
Omaggi a Chick corea  -  con Capleymar

Omaggi a Chick Corea nell'ambiente musicale

Remembering Chick Corea

Publiée par Herbie Hancock sur Mardi 16 février 2021

Heartbroken doesn’t even touch the tip of the iceberg of how this one feels…RIP to my dear brother-in-arms Chick...

Publiée par Quincy Jones sur Jeudi 11 février 2021

The great Chick Corea has left this life but the incredible music he gave us and the meaningful memories will live on in...

Publiée par Al Di Meola sur Jeudi 11 février 2021

Man, we lost Chick. Chick Corea represented to me, the highest level of musical creativity, honesty, curiosity, and...

Publiée par Marcus Miller sur Jeudi 11 février 2021

Prince was influenced by the work of Chick Corea from an early age, beginning with Chick's work in the jazz-funk group...

Publiée par Prince sur Vendredi 12 février 2021

Chick Corea (1941-2021) Pianist Armando Anthony “Chick” Corea, one of the great improvising musicians of our time, a...

Publiée par ECM Records sur Vendredi 12 février 2021

''Chick my friend, you have shaped my life like no one has, or ever will. I will always love you dearly.''❤️ Avishai Chick Corea Razdaz Recordz Loop Prod

Publiée par Avishai Cohen sur Vendredi 12 février 2021

RIP maestro ????

Publiée par Igor Gehenot sur Jeudi 11 février 2021

Comforting words of wisdom I will always turn to in times of creative uncertainty. Chick Corea was a giant, an icon, and...

Publiée par Connie Han sur Vendredi 12 février 2021

RIP Chick....!!!!!!!

Publiée par Patrick Deltenre sur Jeudi 11 février 2021

It was always a pleasure and deep musical journey playing alongside Chick. His technical brilliance, musical creativity,...

Publiée par Terence Blanchard sur Vendredi 12 février 2021

Bye bye Chick Corea...

Publiée par Alain Pierre sur Vendredi 12 février 2021

Rest in peace, Chick Corea ܔ “The concept of communication with an audience became a big thing for me at the time....

Publiée par Taj Mahal sur Vendredi 12 février 2021

God bless Chick Corea, one of the most innovative and inspired musicians I ever had the privilege to work with. His...

Publiée par Yusuf / Cat Stevens sur Jeudi 11 février 2021

RIP

Publiée par Weather Report sur Jeudi 11 février 2021

2 images

© Tous droits réservés 

Publiée par Wayne Shorter sur Jeudi 11 février 2021

J'ai retrouvé une photo ! Lors d'un festival en Irlande avec Philip Catherine, Chick Corea était là avec son groupe Spanich J'en profitais pour faire une photo avec mon Héros ! J'étais tellement fier !!!

Publiée par Mimi Verderame sur Jeudi 11 février 2021

Today we were so shocked and devastated by the loss of @chickcorea. There aren’t enough words to express my love,...

Publiée par John Patitucci sur Jeudi 11 février 2021

Return to Forever Maestro Chick Corea ???? Thank you....

Publiée par Nathan East sur Jeudi 11 février 2021

Wow! A Master Musician & Musical Visionary has changed frequencies & is no longer with us on this planet. Mr. Chick...

Publiée par William "Bootsy" Collins sur Jeudi 11 février 2021

Saying Goodbye to another hero...

Publiée par Julian Lennon sur Jeudi 11 février 2021

Pubblicato il 16/02/2021 12:29  - nessun commento -

IL TURISMO ALPINO AI TEMPI DEL VIRUS (Intervista CIPRA)

La crisi che stiamo vivendo mette finalmente in evidenza le ricorrenti domande che la frequentazione turistica solleva in generale e in particolare nei territori alpini.

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Infatti, il problema fondamentale sta nell'equilibrio tra l'uso intensivo delle grandi stazioni di sport invernali, che mette in pericolo l'equilibrio ecologico, e un numero insufficiente di visitatori per far vivere alcune zone alpine.

Il geografo Werner Bätzing studia da tempo questo fenomeno in due comuni collocati ai due estremi della catena, Sambuco in Piemonte (Italia) e Bad Gastein nel Land di Salisburgo (Austria).

La crisi di Covid-19 ha portato alla chiusura prematura delle stazioni di sport invernali, come pensare allora il futuro turistico, una delle principali fonti di reddito dell'arco alpino ?

La domanda è stata posta a Stefanie Pfahl, capo del Dipartimento del turismo e dello sport della BMU, il Ministero federale tedesco per l'ambiente, la conservazione della natura e la sicurezza nucleare.

Il secondo esperto intervistato è Christian Baumgartner. Insegna e fa ricerca sul turismo sostenibile all'Università dei Grigioni/CH ed è vicepresidente della CIPRA International.

L'intervista è stata condotta dai rappresentanti della CIPRA Michael Gams e Paul Froning.

La promiscuità nelle grandi località come le aree urbanizzate è un terreno fertile per questa malattia. È uno degli eccessi del turismo intensivo moderno, pensa Christian Baumgartner.

I media tedeschi hanno descritto alcune località alpine, frequentate dalla maggior parte dei turisti tedeschi, come veri e propri "nidi" a Coronavirus. Stéfanie Pfal ritiene che si tratti di un fenomeno talmente nuovo che ci si può chiedere se le norme di sicurezza sanitaria siano state rispettate. Inoltre, ciò che è accaduto in Tirolo non è stato completamente chiarito, ma è davvero utile? Le autorità hanno aspettato fino all'ultimo minuto per chiudere le stazioni, ignorando gli evidenti sintomi della malattia dei loro dipendenti. Gli interessi economici hanno chiaramente prevalso sugli interessi sanitari.

Le stazioni di sport invernali del Tirolo pensavano di riaprire a metà maggio, ma il pubblico si è già reso conto che probabilmente ci vorrà più tempo per spostarsi di nuovo e che forze  potrebbe non essere in grado di tornare a fare quello che si divertiva a fare prima dell'arrivo del virus.

In ogni caso, dovremo garantire il rispetto dell'ambiente.
Pertanto, le questioni che dovevano essere sollevate alla conferenza BMU (Bundesministerium für Umvelt) sulla sostenibilità del turismo all'aria aperta, originariamente prevista per maggio e rinviata all'autunno o all'anno prossimo, terranno conto degli effetti della pandemia.

I nostri due relatori concordano sul fatto che il turismo all'aria aperta, anche dopo la crisi della Covid-19, dovrà soddisfare due requisiti :

  1. - Le attività sportive all'aperto dovranno essere gestite adeguatamente per limitare il loro impatto sull'ambiente...
  2. - Inoltre, si tratta ovviamente di un pilastro economico vitale che non può essere trascurato e quindi la questione della crisi economica generata dal Coronavirus dovrà essere presa in considerazione.


Come si può allora concepire il turismo outdoor come un pilastro economico e allo stesso tempo limitare l'uso delle risorse naturali e ambientali ?

Christian Baumgartner si riferisce agli anni di crisi dal 2009/2010/2011, durante il quale i territori impegnati nel "turismo dolce" sono stati meno colpiti dalla crisi rispetto ai grandi centri turistici.
I clienti erano più fedeli e tornavano più spesso durante le vacanze.
In generale, la diversificazione delle attività economiche può essere una soluzione, in quanto una concentrazione dell'economia regionale superiore alla media in un unico settore, in questo caso il turismo, ha un impatto considerevole in una situazione di crisi. Il turismo deve essere parte dello sviluppo regionale, con linee guida ben definite.
Attualmente, a causa della crisi, molte imprese non sopravviveranno, soprattutto le più piccole. Il turismo internazionale dei tour operator subirà un forte calo. Tuttavia, con gli aiuti di Stato, il turismo nazionale e transfrontaliero può fare un ritorno. L'aspetto culturale dovrà essere sviluppato, in modo che la regione possa vivere tutto l'anno e allo stesso tempo valorizzare e preservare il suo patrimonio.
In ogni caso, dovrà essere adottato un approccio regionale globale, che non puo` prescindere dai vari parametri come "il consumo di energia elettrica, la mobilità turistica e altri settori rilevanti come l'agricoltura e la biodiversità". "L'obiettivo deve essere quello di focalizzare la politica di sostegno su interventi in rete, sostenibili e di lungo periodo a favore di un turismo invernale o quadristagionale sostenibile e di mantenere il valore aggiunto del territorio".

Questa crisi sanitaria potrebbe essere un'opportunità per procedere verso un riequilibrio geografico ed economico delle attività nell'arco alpino, permettendo alle diverse regioni di svilupparsi armoniosamente.

Alpentourismus in der Coronakrise (podcast)

Coronavirus : le tourisme alpin frappé de plein fouet

Pubblicato il 15/04/2020 15:00  - nessun commento -

Tra bagnanti e ombrelloni Mentone fa finta di niente

Dal nostro inviato Massimo Calandri

MENTONE.

 Cento passi più in là sembra tutta un’altra storia. Una piccola spiaggia tra gli scogli, alcune coppie che prendono il sole: una ragazza nuota e ride spaventata, il fidanzato s’è tuffato e la insegue. Sulla passeggiata c’è un’elegante signora anziana: è in difficoltà, il grande cappello di paglia sta per volarle via. Vento di libeccio: caldo, africano. Ma cento passi più in là del confine tra Italia e Francia, oltre quel muro di gendarmi e furgoni, anche l’aria soffia più leggera. Però non fidatevi. È solo un’impressione.

“Indesirables”, titola Nice- Matin, il quotidiano locale. Indesiderabili. Una grande foto della stazione di Ventimiglia, con la ressa dei migranti e la polizia. Nell’articolo, l’aggettivo “miserabili” è ripetuto più volte insieme alle parole: paura, tensione, illegale. C’è un’intervista ad Enrico Ioculano, il sindaco: lo descrivono come «un giovane playboy italiano con i rayban, stiloso, eletto dopo che un’inchiesta per mafia ha fatto piazza pulita dei politici». Invece il sindaco di Mentone è Jean-Claude Guibal, 74 anni e da 25 primo cittadino: ‘colonnello’ dell’Ump, ora i Repubblicani, la destra di Sarkozy. La moglie è la senatrice Colette Giudicelli, numero 2 della regione - Alpes-Maritimes - presieduta da Eric Ciotti, monsieur Sicurezza. Tutti Repubblicani. Del resto, nella ricca e conservatrice Riviera francese non potrebbe essere altrimenti. Mentone assomiglia a Santa Margherita Ligure: 30.000 abitanti, turismo medio- alto, strade pulite e limite di velocità a 30 all’ora, un bel museo dedicato a Cocteau, parecchie ville ma anche monolocali: i francesi del nord – e pure gli italiani – dopo la pensione hanno investito qui, clima mite e tranquillità. Guibal ieri ha chiesto al primo ministro Valls di «mantenere la frontiera ben chiusa e presidiata: non fosse altro che per far capire a chi pensa di emigrare che qui in Europa non avrà avvenire».

Dopo il confine, passando per Ponte San Ludovico e cioè la via a mare, il primo negozio è un panificio che fa anche bar: la titolare de “L’ami du pain” è una giovane donna bionda, Stephanie. Dice che le fa pena, vedere «i migranti trattati come cani, prigionieri di una legge che non c’è. E che vergogna, la gente che qui davanti s’abbronza facendo finta di niente». Ieri mattina è venuto da lei un signore, un italiano, ha comprato molti croissant: «Diceva che li avrebbe portati a quei ragazzi. Così gli abbiamo dato le nostre baguettes. Non è molto, ma è pur sempre qualcosa». In questi anni ne ha visti a centinaia, passare il confine a piedi – in silenzio, la testa bassa – e proseguire: «Nessuno mi ha mai dato problemi. Mentone è una città sicura. Però le cose sono cambiate da qualche mese: perché prima erano solo di passaggio, non si fermavano in Francia. Ora è diverso. Ora i francesi hanno paura».

Jean-Michel, farmacista alla Hanbury, proprio all’entrata di Mentone, sostiene d’essere un francese esemplare: «Niente destra o sinistra, non voto più. Ma lavoro duro, pago le tasse». E dice che no, i migranti non ci devono più venire in Francia. «Risalgono il paese e arrivano fino a Calais, sulla Manica. Nessun problema, quando andavano in Inghilterra. O in Olanda, Germania. Ma oggi non riescono a passare e dopo un po’ ce li ritroviamo da qualche parte, che lavorano in nero mentre i francesi sono disoccupati. Sanità, scuola, servizi: dobbiamo pagare anche per loro, ma i soldi non ci sono più ». Le Narval è il più storico bar di Mentone: fino a 20 anni gli italiani venivano qui a comprare sigarette ed alcolici. Adesso accade il contrario, sono i francesi che vanno al bar Conad, un chilometro più là, in Italia: i prezzi sono migliori. «Però gli italiani continuano ad essere ottimi clienti, perché qui si può giocare ai cavalli». Ma da qualche giorno dicono che non si vede nessuno: con il blocco alla frontiera, la gente non ha voglia di aspettare in coda. E alla vigilia della stagione estiva, quelli dell’ente del turismo fanno gli scongiuri.

Tra le coppie della spiaggia ce n’è anche una di Mondovì. Sono pensionati, hanno un monolocale a Mentone. Sono arrivati l’altro giorno in treno. «E come sempre, alla stazioncina di Garavan (la prima dopo il confine) è l’orrore: i poliziotti della Crs che salgono a bordo, gridano e trascinano giù quei poveri ragazzi. Non è giusto, non è umano. E poi da noi non c’è più posto, è il resto dell’Europa che se li deve prendere». Tornando indietro, verso Ventimiglia, sotto alcuni pini marittimi c’è un grosso cartello: “Mentone è felice di accogliervi”, è scritto in francese. Non fidatevi, è solo un’impressione.

Pubblicato il 09/07/2015 10:07  - nessun commento -
Abitare le Alpi nel XXI secolo  -  con Capleymar

Abitare le Alpi nel XXI secolo - Annibale Salsa

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La “sportivizzazione” dello spazio montano e un certo ambientalismo fondamentalista, di matrice urbano-centrica, avevano trasformato le terre alte del Bel Paese in uno spazio di contraddizioni. Ma come si evince dalla pubblicazione di Dislivelli “Nuovi montanari. Abitare le alpi nel XXIesimo secolo”, oggi gli scenari stanno cambiando. E registriamo sbigottiti la nascita di “nuovi montanari”.

Il lascito di eredità intorno alla montagna, trasmessoci nella seconda metà del Novecento, è quello di una montagna spopolata, rifiutata, rimossa oppure retoricamente idealizzata. L’appuntamento con il boom economico del secondo dopoguerra ha coinciso con l’enfatizzazione della città, meglio se metropolitana, e con una rappresentazione bipolare delle terre alte alla stregua di una relazione schizoide. Da una parte c’è la montagna madre e matrigna del mondo dei vinti, vissuta dai montanari in qualità di iperluogo della sofferenza e di nonluogo delle opportunità vitali. L’ambivalenza fra nostalgia e negazione, infatti, ha attraversato gli anni Sessanta, Settanta e Ottanta del secolo scorso. Dall’altra parte la montagna dei cittadini ha generato un’altra forma di ambivalenza, altrettanto perniciosa. Le voglie di consumo e di divertissement hanno contribuito a trasformare alcuni territori in aree loisir, in “terreno di gioco”. Per certi aspetti questa visione sembra riecheggiare, seppur con accenti diversi, la rappresentazione delle Alpi diffusa dall’alpinista inglese Lesley Stephen in termini di “playground of Europe”. Ne è derivato un eccesso di “sportivizzazione” dello spazio montano, responsabile della costruzione delle sta- zioni sciistiche di terza generazione e degli insediamenti rivolti alla pratica dello ski total, svincolati volutamente da ogni legame con le comunità residenti. In questa espressione di assolutismo monoculturale, il concetto di “territorio” viene espropriato del suo vero significato socio-antropologico e viene assimilato riduttivamente a “terreno” di glisse. Il rovescio della medaglia di questa concezione è costituito dall’emergere prorompente di un certo ambientalismo fondamentalista, di matrice urbano-centrica, polarizzato sulla contrapposizione uomo-ambiente. Gli anni Sessanta e Settanta hanno posto problemi fondamentali di natura ecologica ren- dendo imprescindibile la necessità di affrontare il tema dei limiti dello sviluppo.

Il dissesto urbanistico collegato a una montagna colonizzata da stilemi architettonici kitsch e da stili di vita conseguenti hanno violato, nella loro irrefrenabile orgia consumistica, quella nozione di limite di cui la montagna costituisce un perenne richiamo, fisico e morale, nonostante le seduzioni della società del no limits. Non poteva, quindi, non formarsi una coscienza critica al riguardo. Tuttavia, l’atteggiamento che verrà assunto di fronte alle nuove emergenze ambientali sembra individuare, nella presenza sempre più residuale delle popolazioni alpine, un ostacolo alla libera manifestazione della “Natura”. La filosofia gestionale dei Parchi, soprattutto di quelli nazionali, era orientata da visioni prettamente conservazionistiche dove il montanaro veniva percepito quasi alla stregua di un intruso. Ricordo, in proposito, le vecchie polemiche all’interno dei Parchi fra abitanti, amministratori e protezionisti. In questa ottica si veniva a configurare una sorta di falsa coscienza. A una “cultura del sì” indiscriminato nei confronti di ogni forma di infrastrutturazione deturpante si contrapponeva una “cultura del no”, altrettanto irriducibile, sul fronte proibizionista. L’idea di paesaggio quale spazio di relazione / interazione fra montanari e ambienti naturali era del tutto disattesa.

Quei pochi residenti sopravvissuti dovevano fare i conti con burocrazie soffocanti e scoraggianti nei confronti delle tradizionali attività agro-silvo-pastorali. L’evolversi, nel frattempo, della filosofia della tutela ambientale da posizioni di tutela passiva a forme di tutela attiva, anche alla luce di una concezione dell’ambiente declinata in chiave di complessità, lasciava spazi sempre più ampi alla ricezione matura dell’idea di paesaggio. Non più dimensione contemplativa ed estetizzante di matrice idealistica, fondamento dei primi atti legislativi nell’Italia degli anni Trenta (Legge Bottai, 1939) e porto rassicurante per “anime belle” di hegeliana memoria. Piuttosto, si fa strada la nuova consapevolezza del ruolo ineludibile degli uomini della montagna intesi come “costruttori di paesaggio”, “faiseurs de montagne” nel senso di Bernard Debarbieux. La compresenza delle filosofie contrapposte del “tutto permesso” e del “tutto vietato” ha trasformato il Bel Paese in uno spazio di contraddizioni. La ricerca ossessiva della velocità a tutti i costi ha trasformato la montagna in uno stadio, sciistico e alpinistico, facendo implodere la relazione spazio-tempo e perdere di vista il valore di un mondo profondamente segnato dalla natura e dalla cultura. Questi due fattori, anziché essere posti in una relazione di intreccio e di reciproca contaminazione, sono stati rappresentati in termini oppositivi.

Oggi registriamo sbigottiti la nascita di “nuovi montanari”. Chi ricorda gli anni del dopoguerra, caratterizzati dall’anatema nei confronti della montagna, prova grande sorpresa nel cogliere segni di interesse per la vita sulle terre alte. Che si tratti del fenomeno dei “ritornanti” o di chi cerca collocazioni di vivibilità in un mondo sempre più invivibile per ragioni riconducibili all’affermarsi di nuovi bisogni (“voglia di comunità” alla Zygmunt Bauman?), sta di fatto che siamo in presenza di fatti del tutto imprevisti. Quando la montagna sembrava dover oscillare fra sfruttamento industriale, luddismo consumistico e mitizzazione del selvatico, non si pensava vi fosse ancora spazio per azioni insediative. Oggi gli scenari stanno cambiando. Tuttavia ci si deve chiedere se vi sia ancora posto per l’uomo montanaro, al di fuori degli stereotipi folcloristici, proprio nel momento in cui egli si fa anche pastore transumante o stanziale e deve fare i conti con l’aumento dei grandi predatori. L’idea della montagna quale spazio di sola natura “incontaminata” e deantropizzata contrasta, infatti, con la storia del paesaggio alpino e con le nuove domande di montanità. Si impone, quindi, una nuova governance capace di far tesoro degli errori del passato e di accompagnare le domande del presente allo scopo di dare un avvenire umanizzato ed ecosostenibile alle nostre montagne.

Annibale Salsa

Primo piano

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Dislivelli
Ricerca e comunicazione sulla montagna

Testata giornalistica registrata presso il Tribunale di Torino il 21 aprile 2010. Direttore responsabile Maurizio Dematteis

di Aldo Bonomi

D’altro lato alla rappresentazione è sotteso uno stimolo affinché la politica e le politiche accompa- gnino con maggiore decisione queste tendenze in atto in modo spontaneo [...]

Microcosmi alpini

I microcosmi alpini

Pubblicato il 14/08/2014 16:26  - nessun commento -